grazie Torino.

Idee admin 1 luglio 2014

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Signor Sindaco, care colleghe e cari colleghi,

probabilmente questa sarà la mia ultima seduta in Consiglio Comunale: ho deciso qualche settimana fa, a seguito dell’elezione in Consiglio Regionale, di consegnare a Sinistra Ecologia e Libertà le dimissioni da questa carica e nei prossimi giorni ufficialmente le rassegnerò al Sindaco e al Segretario generale. Come sapete, non sussiste incompatibilità e non ritengo nemmeno che ci sia inopportunità di sorta, ma fin qui ho dato tutto me stesso e non intendo fare di meno.

Sono entrato in Sala rossa a 25 anni, erano gli anni in cui inventavamo i primi mezzi di trasporto notturni e nasceva l’idea di una città ciclabile, che avrebbe poi ospitato la più imponente rete di bike sharing in Italia.
Pensate che dal 2009 sono più di un milione, 200mila l’anno i cittadini che hanno usufruito dei night buster, mentre sono un milione e quattrocentomila i prelievi di To-bike ogni anno.
Grazie alla creatività di questa città e alle mille iniziative che crescono in ogni quartiere, il lavoro da consigliere comunale è stato per me simile al mestiere del designer pubblico: si trattava di mettere insieme i pezzi, le idee e le suggestioni dentro un disegno di cambiamento.
Ovviamente non tutti i disegni sono diventati politiche, ma se lo sono diventati è perché quelle idee sono state sostenute da tanti.

Ringrazio chi in Giunta e in Consiglio ha sostenuto pensieri apparentemente folli, come quello di far diventare piazzale Valdo Fusi la prima skate plaza italiana.
Ringrazio chi ogni lunedì mattina ha seguito con me le storie di migliaia di famiglie sfrattate e chi mi ha aiutato a ideare il fondo salva-sfratti, chi si è impegnato a trasformare 2 milioni di metri quadri in terreni agricoli e orti urbani, chi ha difeso la proprietà pubblica di GTT e chi ha girato a piedi e in pulmino la città tra piste ciclabili e discariche a cielo aperto, tra parchi e deserti industriali.
Ringrazio tutti i consiglieri che hanno capito che estendere i diritti non voleva dire toglierli a nessuno, quelli che hanno voluto dire che la Bossi-Fini va cancellata, assieme al reato di clandestinità e ai Cie. Chi ha sancito che un bambino nato a Torino debba avere i diritti di cittadinanza, chi ha ribadito l’inutilità della Fini-Giovanardi, nella convinzione che si debba sottrarre le droghe leggere alle mafie e permettere ai consumatori di uscire dall’illegalità.
Ma oggi mi sento di dire grazie anche a chi si è opposto civilmente e appassionatamente a queste idee, a chi ha sopportato i miei interventi e le mie intemperanze, a chi ha voluto confrontarsi senza pregiudizi e reticenze.
Ringrazio di cuore chi ha lavorato dietro le quinte, tutti i militanti, le compagne e compagni di Sel, chi mi è stato vicino anche nei momenti in cui non c’era nulla da festeggiare, chi mi ha dato una mano senza mai chiedere niente in cambio, chi è stato al mio fianco in questi banchi, chi ci sta ascoltando, chi mi ha stupito, chi mi ha fatto capire che il doppio di sei non è dodici ma è “siamo”.
E vorrei ringraziare anche i nostri concittadini: chi ha tenuto accesa la città anche quando i riflettori della ribalta mediatica dei grandi eventi erano spenti, chi ha saputo trasformare i bagni pubblici, alcune ex cascine e immobili in disuso in vere e proprie case del quartiere, chi si è industriato per dare un dopo scuola ai ragazzi che vivono nelle periferie sociali ed economiche delle nostre barriere.

Sono convinto che, per quanto molte trasformazioni siano incomplete, la città in cui viviamo oggi e in cui crescono molti dei figli dei miei coetanei sia più bella e sicura di quella dove sono cresciuto.
Molte delle cose che abbiamo scritto, discusso e votato sono ancora ‘nel limbo’. Spero di poterle vedere da lì fuori. Quelle piccole idee permetterebbero, ad esempio, di trasformare i parchi pubblici in aule studio a cielo aperto – con wifi libero e arredi urbani concepiti pensando al design for all -, di rendere i luoghi in attesa di futuro fucine creative, di progettare l’attesa di una nuova Cavallerizza, di far diventare le sponde del Po più navigabili e balneabili, di chiedere la rendicontazione ambientale di ogni evento culturale, sportivo, fieristico e convegnistico, la riduzione dei consumi energetici e la successiva compensazione ambientale interna alla città. Forse anche grazie a noi Torino Esposizioni diventerà la nuova biblioteca civica della città, la centrale del Latte rimarrà a Torino affianco alla nuova Mirafiori e la linea 3 correrà sotto il passante ferroviario, come più volte abbiamo chiesto.

Non so se tutte le nostre piccole vittorie e sconfitte diventeranno realtà, come non so se ci sarà qualcuno in futuro che chiederà di nuovo a questa città di sperimentare le sale del consumo, o di difendere i campetti da calcio liberi dietro le case popolari.
Sono però sicuro che, se saremo in grado di aprire gli occhi ai tanti sudditi di questo Paese, una volta tornati cittadini saranno loro a lottare perché a sua volta un senza dimora o un tossicodipendente sia ancora considerato un cittadino e non solo polvere da nascondere lontano dalla propria panchina.
Questo sarà possibile se sapremo investire nell’educazione alla cittadinanza dei più giovani. Questa città ha bisogno di nuove generazioni. Non solo non possiamo permetterci di perderle per mancanza di opportunità, ma dobbiamo continuare a opporci al modello cieco di una città senza nuova linfa.
Torino deve diventare sempre più un riferimento per le ragazze e i ragazzi di tutta Europa, favorendo la formazione, la contaminazione sociale e il confronto, in modo che tutti e tutte possano avere più opportunità nello studio, nel lavoro e nella realizzazione delle loro aspirazioni.
Sogno ancora, come tanti di voi, una città protagonista nella società della conoscenza, sia nei percorsi formativi, a partire dagli asili nido, sia nella capacità di favorire uno sviluppo integrato dei nostri atenei all’interno delle trasformazioni della città.
Oltre ai 2000 posti nelle residenze studentesche, abbiamo bisogno di più mix sociale nell’edilizia pubblica e in quella convenzionata, ed è anche per questo che ci siamo battuti perché le rigenerazioni urbane del futuro siano fatte serbando memoria degli errori delle spine. I servizi e il verde sono la cifra di questo equilibrio che non può emergere cinque anni dopo l’arrivo dei primi inquilini. Serve soprattutto nell’urbanistica uno sguardo europeo, che sappia immaginare ad esempio case passive, tetti verdi e orti urbani, linee di metropolitana, parcheggi di interscambio e piccoli pullman elettrici.
Le Commissioni Urbanistica e Ambiente l’hanno detto e scritto più volte: servono più borghi e aree pedonali, più zone 30 (anzi, la velocità 30 in tutte le vie secondarie) e un BiciPlan che colleghi tutti i quartieri. Caro Sindaco, la rivoluzione è già in strada e ha deciso di non prendere tutti i giorni l’auto.
Solo in questo modo ci libereremo dell’immagine della vecchia Smog City: riprendendoci angolo dopo angolo e centimetro dopo centimetro questa straordinaria città.
Facciamolo ricordando che questo ‘grande paese’ che è Torino, rigenerato dai tanti immigrati che l’hanno reso giovane negli anni ’50 e ’60 oggi, è migliore di altre città perché non si vergogna della propria storia. Siamo orgogliosi di essere i “terroni del Nord”, ed è grazie a questa metafora antirazzista che vediamo i risultati della nostra ‘diversità antropologica’. Non vi siete mai chiesti perché oggi i quartieri più contaminati dal rimescolamento sociale, dai locali notturni, dagli studenti e dagli immigrati siano pian piano diventati quartieri sicuri?

Come abbiamo detto in tanti dall’inizio di questa consigliatura, siamo immersi in un contesto in cui aumentano i bisogni, sociali ed economici, e diminuiscono le risorse e i trasferimenti da parte dello Stato. Si fanno più complesse e più frammentate le istanze collettive e aumenta anno dopo anno la disoccupazione giovanile. Gli investimenti nazionali ed europei per le grandi trasformazioni si sono più che dimezzati, i processi produttivi e lo scenario globale pesano sempre di più, lasciando soli lavoratori, famiglie e anziani.
Da uomo di sinistra ho provato con tanti di voi a tenere insieme la città, a prevenire i conflitti e i problemi, ad accompagnare la trasformazione e il cambiamento.
Questo è stato possibile perché Torino ha un capitale sociale straordinario fatto di cittadini, di forze organizzate della politica e della società civile, di pensiero collettivo, di luoghi di discussione e di riflessione.
Non sempre siamo riusciti a rispondere ai bisogni, ai sogni, alle ansie, alla precarietà che sono lo sfondo della nostra azione ed entrano nelle case delle persone, nelle loro relazioni, nei loro progetti di vita. Pensa, Sindaco, alla chiaccherata che abbiamo scambiato con i ragazzi degli istituti tecnici superiori, che qualche mese fa manifestavano qui sotto; ma pensate anche, soprattutto, alle migliaia di famiglie che non trovano soluzione né tramite le risposte che abbiamo dato all’emergenza abitativa, né tramite Locare e nemmeno nei nostri luoghi di prima accoglienza. Non commettiamo l’errore di pensare che la crisi sia ormai alle nostre spalle.

Comunque sia credo, essendo un ottimista per natura, che il nostro futuro dipenda da tutti noi, da tutti i torinesi: se sapremo sentirci pienamente cittadini, saremo noi a restituire a tutti gli spazi della città, perché sappiamo che un lampione costa meno ed è più efficace di una volante, perché un bar aperto di notte è la nostra migliore centrale operativa, perché chi chiacchiera, vive, beve, legge e mangia nello spazio pubblico è la nostra anti-ronda naturale.
Sta invece alla mia generazione e a quelle che verranno abbattere la precarietà, dare opportunità di studio e lavoro ai giovani, investendo sull’educazione e sulla riconversione degli ultimi deserti industriali in luoghi in cui attrarre risorse, progetti e nuove imprese.
Per fare tutto ciò ci servirà tutta la passione civile possibile.
La creatività non basterà, servirà tutta la nostra generosità; dovremo ricordarci, come scrive Calvino nelle Città Invisibili, che “ogni città riceve la sua forma dal deserto a cui si oppone”.

Spero che questo in realtà non sia un addio, ma un arrivederci.
L’ho promesso a chi mi ha accompagnato fin qui: voglio continuare a scoprire nuove strade, guardare quelle vecchie con occhi nuovi, incrociare sorrisi, superare paure e vedere connessioni dove non esistono ancora. Come una dinamo vorrei continuare a trasformare ogni centimetro di questa città nell’energia migliore per continuare a fare politica.

Marco Grimaldi

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