Domani è già oggi. Il futuro non aspetta.

Idee admin 20 dicembre 2012

Più di un giovane su tre cerca lavoro senza trovarlo. Nel frattempo i precari in Italia sono 3 milioni (e due terzi di essi hanno meno di 35 anni).

La ricetta della flessibilità, che prevedeva di creare lavoro e sviluppo eliminando tutele e “vincoli”, è palesemente fallita.

Purtroppo, proprio mentre la crisi è all’apice, un colpo di coda di queste ricette ormai superate è stato assestato dal ministro Fornero: la modifica dell’articolo 18, cui sono seguiti più licenziamenti e nessuna assunzione, prosegue una storia in cui lo statuto dei lavoratori è stato dipinto come l’ostacolo alle assunzioni che rendeva i padri (garantiti) colpevoli della precarietà dei figli. Nemmeno l’evidenza che nelle piccole imprese (dove l’articolo 18 non vige) vi siano poche assunzioni e troppo precariato ha fatto vacillare i fan della flessibilità a ogni costo.

Fallisce ogni giorno anche la ricetta di chi vorrebbe costruire la competitività non investendo in innovazione e ricerca bensì comprimendo salari e boicottando la rappresentanza sindacale: la Fiat di Marchionne, che di questa impostazione ha fatto un mantra, continua a perdere quote di mercato (ormai è al 6,1% in Europa).

Oltre al fallimento di queste ricette, emerge con chiarezza la loro miopia: in troppi dimenticano che un esercito di precari che versa i contributi minimi oggi sarà domani un esercito di anziani senza pensione, di cui lo Stato dovrà occuparsi con costi altissimi. Scaricare la crisi di oggi sulle prossime generazioni non è mai la soluzione.

Servono nuove politiche.

Le tipologie contrattuali devono essere drasticamente diminuite e va incentivata la stabilizzazione dei contratti a tempo determinato

Ogni ora di lavoro “flessibile” deve costare più di un’ora di lavoro a tempo indeterminato (a livello fiscale e contributivo), per scoraggiare il ricorso alla precarietà da parte di chi vuole ridurre i costi.

Occorre ripristinare l’obbligo di causale per le assunzioni a termine (abolito dalla riforma Fornero) e rendere l’apprendistato davvero un’opportunità di formazione sul campo (e non l’attuale strumento di dumping salariale) eliminando la possibilità di recesso alla scadenza senza giusta causa.

Dovrà essere approvata una legge sulla rappresentanza sindacale che applichi finalmente quanto prevede la Costituzione e faccia terminare una nefasta stagione di accordi separati.

Rafforzare i servizi ispettivi è la strada da seguire per contrastare il lavoro nero e individuare le false partite Iva, ennesimo escamotage per mascherare rapporti di lavoro subordinati, precari e sottopagati.

Le politiche industriali e gli investimenti della Cassa Depositi e Prestiti dovranno sostenere la ricerca applicata e le innovazioni tecnologiche e di prodotto.

Ma più di ogni altra cosa serve una rivoluzione culturale.

Il cambiamento deve partire dalla comprensione di un basilare meccanismo economico: è lo sviluppo (consumi, investimenti, spesa pubblica) che crea lavoro.

Sostenere il potere d’acquisto dei salari non è solo giusto socialmente, bensì anche e soprattutto efficiente, perché consentirà finalmente alle imprese di veder crescere la domanda e di assumere. Rafforzare le tutele dei lavoratori significa restituire al lavoro la dignità che merita e al Paese la prospettiva di uno sviluppo basato sulla cooperazione tra lavoro e impresa.

Investire in conoscenza (istruzione, formazione permanente, ricerca) è il migliore supporto che uno Stato può dare ai propri cittadini e insieme al proprio sistema produttivo.

Diritti, equità e sviluppo non sono le politiche di qualcuno contro qualcun altro: saranno le politiche con cui disegneremo l’Italia di domani.

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