Torino: Sopralluogo al Cie, corso Brunelleschi. #chiudereiCie

Idee admin 14 novembre 2013

Sopralluogo Consiglio Comunale al Cie di corso Brunelleschi. Ore 12.

Oggi ci sono 85 persone presenti, la croce Rossa li chiama ospiti, la Prefettura trattenuti, per noi sarebbe meglio dire che sono “detenuti”. 73 uomini, 12 donne.
Posti 210. Utiizzabili 98, i restanti inagibili per motivi di sicurezza. A seguito delle rivolte la gran parte delle aree sono state bruciate e rese inutilizzabili.
Le rivolte sono mediamente 2 al mese e nei periodi estivi anche di più.
La croce Rossa svolge il ruolo da full service dalla mensa, alla pulizia, dalla avvocatura alla consulenza medica e psicologica.
La croce Rossa rilascia 3,5 euro al giorno a ospite (usati per lo più per tabacco e telefonate). Un trattenuto su tre usa ansiolitici e antidepressivi.
L’ampliamento di tre anni fa è costato 14 milioni, 78 mila euro a posto letto. Cifre enormi se si pensa che nella metà dei casi la detenzione è inutile visto che nel 2011è stato rimpatriato il 57 percento degli stranieri, 650 su 1.100 circa trattenuti.
Non ho cambiato idea i Cpt non andavano pensati e realizzati. I Cie vanno chiusi, hanno manifestato il loro totale fallimento. Rinchiudere immigrati senza documenti sino a 48 mesi, è una inqualificabile violazione dei diritti umani oltre che uno spreco di risorse pubbliche.

___________

more info:

I centri di identificazione ed espulsione (CIE), prima denominati centri di permanenza temporanea (CPT), sono strutture previste dalla legge italiana istituite per trattenere gli stranieri “sottoposti a provvedimenti di espulsione e o di respingimento con accompagnamento coattivo alla frontiera” nel caso in cui il provvedimento non sia immediatamente eseguibile. Essi sono stati istituiti in ottemperanza a quanto disposto all’articolo 12 della legge Turco-Napolitano (L. 40/1998).

Poiché i Cie hanno la funzione di consentire accertamenti sull’identità di persone trattenute in vista di una possibile espulsione, ovvero di trattenere persone in attesa di un’espulsione certa, il loro senso politico si traccia in relazione all’apparato legislativo sull’immigrazione nella sua interezza.

Nel 2012 gli immigrati “carcerati” sono stati 7.700, metà di loro sono stati rimpatriati. Un cifra piccola rispetto alla realtà di 326 mila immigrati senza documenti presenti in Italia, e forse questo dato è anche sottostimato.
Nell’ordinamento italiano i CIE costituiscono una enorme anomalia prima non era mai stata prevista la detenzione di individui se non a seguito della violazione di norme penali. A tutt’oggi i soggetti prigionieri nei CIE non sono considerati detenuti, e di norma vengono definiti ospiti della struttura.

Il primo documento ufficiale a denunciare le condizioni all’interno dei centri è la relazione 2003 della Corte dei Conti; in essa si parla di «programmazione generica e velleitaria», «strutture fatiscenti», «scarsa attenzione ai livelli di sicurezza», «mancata individuazione di livelli minimi delle prestazioni da erogare».

È del 2004 un rapporto di Medici Senza Frontiere, in cui vengono descritte strutture inadeguate a svolgere il loro compito. Inoltre, viene segnalato l’alto tasso di autolesionismo tra i trattenuti nei centri.

Come afferma anche Amnesty International nel suo rapporto sui centri italiani, molte volte i detenuti sono sistemati in container e in altri tipi di alloggi inadeguati a un soggiorno prolungato, esposti a temperature estreme, in condizioni di sovraffollamento.
Alcuni centri hanno uno spazio aperto troppo angusto, quando non manca del tutto. Vi sono notizie di condizioni igieniche carenti, di cibo scadente, e soprattutto di mancate forniture di vestiti puliti, biancheria, lenzuola.

Talvolta non esistono ambienti separati per i richiedenti asilo, né vengono previste aree separate per gli ex-carcerati: quest’ultimo fatto determina frequentemente da una parte problemi di convivenza che sorgono tra normali lavoratori irregolari e persone uscite da anni di carcere in cui hanno appreso le regole proprie del paradigma carcerario, dall’altra mette a contatto persone prive di ogni status giuridico e di ogni assistenza a contatto con ambienti che invece possono fornire una possibilità di sopravvivenza.

La maggior parte dei reclusi proviene da una precedente esperienza carceraria. Hanno già scontato la pena, ma non sono stati identificati nel corso di quel periodo perché la procedura non lo prevede. Molte delle donne sono state costrette a prostituirsi dai loro connazionali, e “avrebbero bisogno di un aiuto per liberarsi dal peso dello sfruttamento”.

Nei CIE la situazione è grave da ogni punto di vista: sovraffollamento, condizioni igieniche spaventose, risse, violenze, fughe, rivolte, maltrattamenti.

I costi di gestione economica di queste strutture sono sempre più insostenibili per lo Stato Italiano, ma sono i costi umani che non sono accettabili.

Share on FacebookTweet about this on TwitterShare on Google+Email this to someone