Alla ricerca dell’università perduta.

Idee admin 28 dicembre 2012

Dal 2008 a oggi, tra governi Berlusconi e Monti, all’università italiana è stato tagliato oltre un miliardo di euro di finanziamento. E non stiamo parlando di sprechi: in Italia gli investimenti in università e ricerca sono lo 0,8% del Pil, mentre la media europea è dell’1,5%.

Insomma, il declino viene da lontano, da quando si è persa di vista la centralità della spesa per la conoscenza, la cultura, la ricerca, il diritto allo studio.

Come sempre in Italia, non è solo un problema di fondi: la “riforma” Gelmini ha peggiorato il quadro di un’università che avrebbe necessitato e meritato ben altre riforme.

Il quadro di oggi ci mostra atenei poveri, in cui c’è scarsa democrazia interna (ovviamente l’ingresso di privati nei cda non ha portato le tanto annunciate risorse), con sempre meno ricercatori e docenti e sempre più corsi a numero chiuso. Tutto questo per stendere un velo pietoso sullo stato del diritto allo studio: in Francia e Germania il 30% degli studenti ottiene una borsa di studio, mentre per i canoni italiani ad averne diritto è solo il 10%… e molti di loro non la ottengono comunque, tra tagli statali e regionali.

E la situazione sarebbe peggiore se in questi anni migliaia di studenti non si fossero mobilitati in difesa della scuola e dell’università pubbliche, riuscendo perlomeno a inserire con forza questi temi nell’agenda politica nazionale. Mi piace ricordare l’esempio torinese, dove grazie alle rappresentanze studentesche si sono ottenuti i primi modelli di tassazione universitaria davvero progressiva.

È ora di invertire la rotta.

Dovremo raggiungere i livelli d’investimento europei per la conoscenza, a partire dallo sblocco del turnover che permetterebbe ai tanti ricercatori precari – oggi espulsi dai nostri atenei e costretti a fuggire all’estero – di rimanere in Italia e di mettere a frutto qui le loro conoscenze, raggiungendo così gli standard europei anche in merito al rapporto studenti – docenti.

Le tasse studentesche, che molti tecnici dell’Italia di oggi ritengono troppo basse, sono le terze più alte d’Europa: rimodularle in un’ottica di vera progressività è un intervento non più rimandabile se vogliamo che l’istruzione non torni a essere un lusso. Serviranno 600 milioni in più ogni anno per il diritto allo studio, eliminando la stortura tutta italiana dell’idoneo non beneficiario di borsa di studio. Avremo bisogno di un piano per la residenzialità universitaria e per l’accesso alla casa, che consenta a migliaia di studenti di uscire dai propri nuclei famigliari.

Tutto questo però non basterà se non attueremo politiche che incentivino anche la ricerca privata (ricerca applicata, innovazioni di prodotto e di processo), con l’obiettivo di modificare la fisionomia di un mondo del lavoro così interessato a persone dequalificate da generare il paradosso per cui chi consegue una laurea specialistica ha maggiori probabilità di restare disoccupato.

L’università dovrà finalmente un luogo di cultura e insieme uno strumento di miglioramento delle condizioni sociali. Serve un’Italia che smetta di perdere i propri studenti migliori e che anzi attragga cervelli da tutta Europa e da tutto il mondo.

La strada è in salita e di certo la crisi non aiuta.

Metterci tutto il nostro impegno è però il minimo che possiamo fare per salvare, con l’università, questa povera Italia.

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