LA CRISI E LA SPERANZA

Idee admin 20 ottobre 2011

Un mondo diverso era possibile. Oggi è necessario.

Il mondo è investito da una crisi globale di gravità inaudita su cui si agita lo spettro della catastrofe climatica. Questo modello di sviluppo non è neppure in grado di garantire la sua stessa sostenibilità. La crisi finanziaria globale ha fatto emergere tutte le contraddizioni di una crescita basata sulla disuguaglianza, sul conseguimento del profitto senza regole, sullo sfruttamento del lavoro umano e delle risorse naturali.

Sono passati dieci anni dal G8 di Genova. Migliaia di cittadini partirono da tutta Italia per opporsi pacificamente ai potenti del mondo, ignari di dover incontrare una delle più grandi violazioni dei diritti umani avvenuta in un paese occidentale nel dopoguerra. Nessuno immaginava che per anni avrebbe dovuto chiedere verità e giustizia, giunte parzialmente dalle sedi giudiziarie e mai dall’ambito politico e istituzionale. Anche allora molti non condividevano la retorica dell’assalto e della guerra civile, come l’ambiguità di alcune parole d’ordine. Proprio per questo il rifiuto del linguaggio di guerra e la scelta delle pratiche non violente rappresentarono il vero grande salto di qualità del movimento che diventò, in pochi anni e in tante piazze del mondo, “la seconda super potenza”.

Oggi non possiamo tornare indietro da questa importante conquista.
Quelle donne e quegli uomini sapevano che la democrazia non consente un governo del mondo sequestrato dai soggetti più ricchi. Intuivano che il mercato senza regole, mirato solo al massimo profitto, era una minaccia per i diritti, per il lavoro, per la pace, per la convivenza e per il pianeta, come già dimostravano tanti esempi del sud del mondo dove le istituzioni finanziarie internazionali avevano imposto una modernità colma di barbarie.
Del Forum Sociale Mondiale di Porto Alegre si diffondeva l’appello a riconoscersi nelle diversità e a fare rete. Nelle manifestazioni, negli eventi nazionali e internazionali, nelle grandi campagne contro le guerre prendeva corpo una diffusa scuola di autoformazione e di educazione popolare orientata all’azione e allo scambio fra molteplici identità, saperi, esperienze. Nel settembre dello stesso anno gli attentati alle Torri Gemelle segnavano una cesura storica nell’equilibrio geopolitico mondiale. La guerra preventiva e la repressione del dissenso divennero la ricetta Bush per gestire i conflitti. Seguirono anni bui in cui le forze progressiste persero l’occasione di rappresentare a livello globale una risposta politica alla complessità del mondo e alle istanze del movimento no-global. In Europa le forze conservatrici e le nuove destre nazionaliste conquistarono posizioni di potere tali da rendere il vecchio continente il più ossequioso erede delle politiche economiche del FMI di inizio secolo. Le vittorie di Zapatero e l’ascesa dei verdi non cambiarono gli equilibri né tantomeno le culture nel campo democratico. Anche negli USA la speranza di un “nuovo green new deal”, che la travolgente vittoria di Obama poteva rendere possibile, si è infranta davanti alla rinascita dei conservatori (con la nuova lobby teo-con rappresentata dal Tea-party) e alle pesanti pressioni dei mercati che hanno portato il paese a un passo dal default.

Dieci anni dopo il G8 di Genova, la critica al modello di globalizzazione neoliberista si è però estesa e allargata, anche fra i suoi fautori. Le resistenze e le buone pratiche delineano in tutto il mondo non solo la necessità, ma la reale possibilità di un’alternativa credibile al capitalismo senza regole e senza limiti. Un’alternativa necessaria ovunque e tanto più in Europa, dove la distruzione del modello sociale e la crisi democratica, unite ai mutati equilibri globali, rischiano di far fallire, con esiti drammatici, lo stesso progetto di integrazione europea e allontanano sempre più i lavoratori e le giovani generazioni dalla partecipazione politica.

In sede internazionale, mentre si chiede agli Stati di tornare a intervenire nell’economia e nuovi Paesi sono stati associati al tavolo dei potenti, non si intravede un’uscita dalla crisi che salvaguardi e allarghi i diritti dei lavoratori, dei bambini, delle donne, dei giovani, dei migranti e permetta di costruire istituzioni  realmente democratiche e capaci di riflettere i diritti e la voce dei popoli.

L’Italia peggiore in tempi di crisi.

Le istituzioni democratiche sono in crisi per molti e diversi motivi.

La politica e i governi, ormai da alcuni decenni, si trovano in posizione di subalternità rispetto ai mercati finanziari senza regole: i soldi che girano ogni giorno nelle borse e nelle piazze finanziarie (otto volte il valore del PIL mondiale, rapporto che spiega la proliferazione delle “bolle” speculative) sono infinitamente di più di quelli che hanno in dotazione i poteri pubblici. Le leve a disposizione di un primo ministro o di un parlamento sono molto più modeste di quelle in mano ad alcune grandi istituzioni finanziarie.

Non si possono più usare i fondi pubblici solo per salvare le banche, non si può inondare il mercato di liquidità agendo sulla politica monetaria.

Nel frattempo le imprese licenziano perché non c’è una sufficiente domanda di beni di consumo, ma tagliare posti di lavoro significa contrarre i redditi da lavoro, aumentare le disuguaglianze e ridurre la domanda finale. Una spirale negativa alla quale ora si aggiungono le politiche di ‘rigore’ attuate da quasi tutti i governi: si riducono i redditi dei dipendenti pubblici e dei pensionati e si tagliano altri posti di lavoro, precari e non solo precari. Così diminuisce ulteriormente la domanda di beni di consumo e crollano anche le entrate fiscali. Le disuguaglianze aumentano, anche perché la pressione fiscale si esercita più sui redditi da lavoro che sulle rendite.

Di fronte alla recessione economica, mancano le risorse pubbliche per attuare politiche economiche in grado di fermarla. Anzi, il ruolo dei governi sembra oggi quello di accelerare la caduta dell’occupazione e dei redditi.

In Italia la spirale negativa è sotto gli occhi di tutti: il nostro è un Paese alla deriva con un impoverimento complessivo, un paese in cui i ceti medi e medio bassi stanno pagando il conto per tutti. I dati sulla disoccupazione giovanile sono inquietanti, così come il numero di giovani tra i 15 e i 24 anni che hanno smesso di studiare, che non seguono corsi di formazione professionale e che non cercano lavoro.

In molti hanno provato a mettere le generazioni le une contro le altre spiegando ai più giovani che gli “atipici” e anomali del sistema erano i milioni di dipendenti a tempo indeterminato e i pensionati.

Compiuta la precarizzazione di tutto il lavoro, pubblico e  privato, sono i precari di inizio secolo ad uscire dal mercato a 40 anni.

Per i più giovani l’inaccessibilità del credito, che non permette di procurarsi i finanziamenti per iniziare una nuova attività o di ottenere il mutuo per acquistare una casa, si traduce in una precarietà esistenziale senza vie di fuga.

Come dicono i lavoratori della conoscenza e gli studenti: “la scuola pubblica è al punto zero”, non c’è più il modello precedente ai tagli Tremonti-Gelmini, non c’è ancora un nuovo assetto del sistema scolastico.

Da questo anno scolastico l’insostenibile riduzione delle risorse messa in atto dal 2008 (8 miliardi che si sono tradotti anche nella perdita di 130.000 posti di lavoro) è a regime ed è sotto gli occhi di tutti. Anche l’edilizia scolastica rimane nelle stesse condizioni di inciviltà. La scuola pubblica italiana ha subito l’attacco a tutti i suoi aspetti di eccellenza e non è stato introdotto alcun miglioramento nei suoi punti deboli. E’ prevedibile che senza risorse per innalzare la qualità dei percorsi formativi si aggraverà la dispersione scolastica e peggioreranno i livelli di apprendimento.

La recente manovra aggrava ulteriormente la situazione. E’ possibile così riassumerla:  indebolimento del contratto nazionale di lavoro; privatizzazione dei servizi pubblici locali, nonostante i clamorosi risultati dei referendum di giugno; privatizzazione di aziende strategiche come Eni, Poste, Rai; tagli alle autonomie locali.

In particolare l’art.8 della manovra finanziaria, consentendo ai contratti collettivi aziendali di derogare a leggi e contratti collettivi nazionali, affida alla contrattazione di prossimità una sorta di delega in bianco per disciplinare  materie di portata generale, anche molto delicate, come la tutela dal licenziamento illegittimo, l’orario di lavoro, la disciplina del part time.

A tutto ciò  si aggiungono la riduzione dei fondi FAS, in particolare per la banda larga e la prevenzione dei rischi da dissesto idrogeologico, l’incertezza sulle pensioni, la riforma dell’apprendistato con la riduzione delle ore di formazione e le crescenti difficoltà nell’inserimento lavorativo dei cittadini disabili.

Inoltre, il governo, mentre aumenta l’età pensionabile,  rimette in discussione gli accordi sindacali che riguardavano l’accompagnamento all’uscita del lavoro. Più di 70.000 i lavoratori dovevano utilizzare l’indennità prevista in questi casi: le risorse stanziate permettono di  attribuirla solo a 10.000.

Non è difficile prevedere che le scelte del governo Berlusconi, che comportano anche un drastico ridimensionamento del welfare locale, aggraveranno la disperazione e la solitudine di migliaia di persone già in difficoltà.

Non è possibile ignorare, inoltre, le conseguenze sul piano sindacale e politico degli eventi degli ultimi mesi, dall’uscita di FIAT da Confindustria alla profonda crisi che sta attraversando il blocco sociale e politico raccolto attorno alla figura di Silvio Berlusconi.

In questo contesto anche il declino dei partiti politici sembra inarrestabile. A questo declino ha certamente contribuito la pessima reputazione di cui gode oggi, non a torto, la politica con le sue incapacità e la sua sudditanza al potere forte della nostra epoca, quello economico.

Inoltre la politica italiana è afflitta da antichi vizi che allontanano dalla partecipazione e non di rado frustrano anche i più motivati: la scarsa qualità della vita democratica interna ai partiti, l’opacità dei meccanismi decisionali, il disprezzo delle regole, la violenta aggressione dell’avversario anche interno, la mancanza di trasparenza sulla provenienza e sull’impiego delle risorse economiche.

A Firenze, nell’ottobre dello scorso anno, si compiva il percorso costitutivo di Sinistra Ecologia Libertà. Il congresso di fondazione, in una situazione politica che induceva a considerare imminenti le primarie del centrosinistra e le elezioni anticipate, riconosceva in Nichi Vendola, oltre che il leader di SEL, anche il leader di una nuova aggregazione delle forze riformatrici e progressiste di questo paese. Diveniva così praticabile l’alternativa al berlusconismo attraverso una coalizione capace di affrontare e risolvere i nodi di una società complessa.

Sinistra Ecologia Libertà, prima tra le forze politiche, riconosceva l’importanza di aprire senza limiti lo spazio pubblico del dibattito e della partecipazione. Si accettava così la scommessa di costruire un partito nuovo in grado di raccogliere le sollecitazioni di una militanza attiva. Una militanza che non chiede soltanto di essere rappresentata, ma vuole partecipare in prima persona all’elaborazione dei programmi e alla formazione delle decisioni.

A pochi mesi dal congresso di Firenze questa scommessa, a Torino, è stata persa. Con lo svolgimento delle primarie per individuare il candidato sindaco della Città gran parte degli “antichi vizi” sono ritornati nella vita interna del partito.

A Torino, dunque, e non solo a Torino, questo partito nuovo non è ancora nato. Ecco perché è necessario ripartire da Firenze perché il compito, là individuato, di “ricostruire una partecipazione democratica e di dare forza e credibilità a un’idea di trasformazione, sia nei contenuti sia nelle pratiche” resta ancora una sfida da realizzare.

La riscossa civile. Dalle primarie ai referendum.

Eppure lo straordinario risultato dei referendum, la mobilitazione del popolo viola, le donne di “Se non ora quando”, i movimenti di protesta e di lotta degli studenti e dei giovani precari, i movimenti anche più radicali come i “No TAV” indicano, tutti insieme, un mai sopito desiderio di partecipazione alla vita pubblica che i partiti non sono stati in grado di cogliere e di rappresentare.

La riscossa civile delle elezioni amministrative di primavera ha dato alle opposizioni politiche il segnale di una disponibilità chiara, seppur non scontata, dell’elettorato.

Le primarie facilitano il nuovo rapporto e la credibilità di figure come Pisapia e Zedda lo hanno reso più forte. La vittoria di Napoli ha inoltre fatto comprendere che ci si può candidare alla guida del centrosinistra pur criticando aspramente gli errori precedenti della stessa coalizione.

Ciononostante, il dato politico più rilevante delle elezioni è stato rappresentato dalla palese debolezza della proposta del centro destra, dalla frenata della Lega, con il conseguente successo delle sinistre nel Nord Italia, e dalla crisi di un governo allo sbando.

Neanche il massiccio impiego di risorse ha invertito le indicazioni del primo turno, e anzi l’esito dei ballottaggi ha reso la vittoria ancora più ampia, come nel caso di Novara.

Torino, per anni l’unica certezza “in alto a sinistra” nell’Italia “padanizzata”, ha ottenuto un grande risultato al primo turno, dimostrando che il centro destra, a un anno dalla vittoria di Cota alle regionali, non è riconosciuto come forza autorevole nelle scelte politiche della città.

Sinistra Ecologia Libertà ha messo in gioco un’incredibile voglia di protagonismo e partecipazione, raddoppiando il risultato delle ultime regionali ed eleggendo due trentenni in sala rossa. Un risultato quanto mai positivo, soprattutto alla luce dell’incapacità della sinistra diffusa di trovare una sintesi e un’unità di intenti nel periodo delle primarie di coalizione, incapacità a cui SEL ha in qualche modo contribuito.

Ma sono i referendum di giugno che hanno stravolto ogni certezza. Da anni non si riusciva a raggiungere il quorum e la campagna per l’astensione, anche se aggravata dallinqualificabile silenzio dei media, non è bastata a fermare la fiumana del popolo dei beni comuni, che non è andato al mare e si è riversato compatto alle urne.

La difesa della gestione pubblica dell’acqua e il rifiuto della svendita coatta e antifederalista dei beni comuni sono stati forse ancora più dirompenti dell’effetto Fukushima sulla seconda bocciatura popolare inflitta alla creazione di centrali nucleari.

Qualcuno finalmente si sta accorgendo che le battaglie culturali come questa non solo bisogna farle, ma bisogna farle fino in fondo.

E occorre anche saper evitare l’artificiosa dicotomia tra battaglie culturali e battaglie sociali, come recentemente ci hanno insegnato le piazze italiane piene di lavoratori durante lo sciopero generale della Cgil. Il sindacato, da molti attaccato e da alcuni strattonato, rimane la maggiore forza organizzata del Paese, una forza da cui la politica deve saper anche attingere istanze e proposte,  rispettandone sempre l’autonomia e senza invaderne la struttura interna. Dobbiamo fermare le divisioni sindacali esasperate dalle politiche del Ministro del Lavoro e metterci a disposizione per costruire una più che mai necessaria legge sulla rappresentanza sindacale.

Le battaglie, tutte le battaglie, si possono vincere, ma sta a noi prolungare nel tempo ogni vittoria, tenendo alta la tensione civile verso un Paese migliore. E serve che le reti organizzate e l’azione territoriale (il mix che i Comitati per l’acqua hanno messo in campo per vincere) continuino a essere il nostro strumento per arrivare a tutti.

Una nuova speranza.

Per catalizzare questo fermento sociale e uscire dalla crisi di civiltà che ereditiamo dalla globalizzazione neoliberista il primo ostacolo da rimuovere è la rassegnazione all’ineluttabilità degli eventi, l’appiattimento acritico sul determinismo del pensiero unico, la rinuncia a cambiare le cose.

E’ possibile salvare insieme il lavoro, i diritti, l’ambiente, con un grande piano di riconversione ecologica dell’economia, finanziato da una consistente redistribuzione della ricchezza. E’ possibile uscire dalla logica del consumismo di massa ridando valore ai rapporti umani, ai saperi, alle produzioni, al lavoro, alle culture locali. E’ possibile uscire dalla falsa dicotomia fra privatizzazione e statalismo, con una nuova cultura della gestione pubblica dei beni comuni, naturali e sociali, che rinnovi democrazia e politica attraverso una forte partecipazione.

E’ possibile un vero investimento sul futuro dell’umanità e della Terra, ponendo fine a tutte le guerre, costruendo relazioni pacifiche tra popoli e nazioni e destinando le ingenti risorse tolte agli armamenti ad un grande piano per la formazione, la ricerca, l’innovazione tecnologica e culturale.
Sentiamo la responsabilità di dare il nostro contributo a un progetto nuovo, a un’inedita visione di futuro. Bisogna farlo con rigore, affrontando le contraddizioni e i punti critici: per queste ragioni abbiamo creduto nella necessità di far nascere una nuova speranza in questo paese, per queste ragioni abbiamo voluto dare voce e rappresentanza alle istanze progressiste ed ecologiste, per questi motivi abbiamo partecipato alla fondazione di Sinistra Ecologia Libertà.

All’intelligenza e alla generosità politica di Nichi Vendola si deve la possibilità di una nuova prospettiva per la sinistra italiana, nel desolante panorama tracciato dalla nascita del Partito Democratico e dallo sterile e antistorico posizionamento del partito della Rifondazione Comunista e della Federazione della Sinistra. Il leader di Sinistra Ecologia Libertà è, pertanto, non solo il presidente di questo partito ma, potenzialmente, il leader in grado di portare alla vittoria elettorale una vasta coalizione per riformare l’Italia e per liberarla, finalmente, dai veleni e dai miasmi della fin troppo lunga stagione delle destre e del berlusconismo.

Sinistra Ecologia Libertà è, perciò, il luogo naturale e, insieme, il fulcro di questa battaglia di rinnovamento della vita politica italiana che le primarie del centrosinistra devono poter avviare al più presto, perché la fine della legislatura non è, in ogni caso, lontana.

Crediamo non sia più rimandabile la riorganizzazione di una coalizione che sfidi culturalmente e politicamente il centro destra e le forze conservatrici di questo paese.

Non vorremmo che il dibattito sull’apertura ai moderati del “terzo polo” e la riforma del sistema elettorale mettesse in secondo piano la necessaria discussione su un programma che possa coinvolgere e rappresentare le migliori energie di cambiamento in Italia e in Europa.

Siamo convinti che servano delle mobilitazioni unitarie delle opposizioni non soltanto per dare la spallata finale all’agonizzante governo di Berlusconi, ma per fare sì che il risveglio civile indubbiamente presente nel paese possa dare forza a un programma progressista ed ecologista in grado di cambiare l’Italia. Occorre perciò raggiungere una credibile unità di intenti e disegnare il percorso delle primarie di coalizione.

Non vi è, tuttavia, dubbio che il ruolo di SEL sulla scena politica nazionale non potrà certo dirsi esaurito con lo svolgimento delle primarie. Noi intendiamo, perciò, dargli sin da ora una stabile struttura connotandolo come un partito moderno e ben organizzato con ruoli e responsabilità definite. Pensiamo che solo così si possa realizzare l’aspirazione di offrire al Paese un leader per il cambiamento e un progetto  politico che duri, aggiornato, nel tempo.

I Circoli devono divenire il luogo di informazione e di formazione politica non solo sui temi locali, dove si possa agire di concerto alle compagne e ai compagni che ricoprono cariche istituzionali, ma anche su quelli di rilevanza nazionale e internazionale sui quali il Partito deve costruire la propria posizione a partire da quella delle sue iscritte e dei suoi iscritti.

La democrazia è fondata sul rispetto di regole e non sopravvive quando queste siano ignorate o calpestate, come sempre più spesso avviene nell’Italia di oggi.

Il rispetto dello Statuto, ora giunto a una compiuta stesura, non dipende dalla buona volontà di ciascuno di noi, ma dalla consapevolezza che il rispetto di un quadro condiviso di regole e di garanzie è la condizione per la stessa esistenza del partito e per la sua unitarietà. Solo la condivisione di regole comuni può garantire lo sviluppo di una libera dialettica ed evitare lo scontro incontrollato di posizioni che può rappresentare una minaccia per l’unità del Partito.

Sinistra Ecologia Libertà deve praticare, in ogni luogo, una democrazia rispettosa delle regole, plurale nel manifestarsi delle opinioni, mite nel confronto tra le diversità.

Occorre perciò recuperare la piena autonomia del partito nelle analisi e nei meccanismi decisionali, a partire dalla definizione del rapporto con i propri rappresentanti nelle istituzioni, con i movimenti e con i sindacati. Lo si deve fare affidando alle iscritte e agli iscritti il ruolo centrale nel processo di formazione delle decisioni.

Un modo nuovo di essere partito deve impedire a chiunque sia eletto, anche al più bravo, di guidare una moltitudine di persone che hanno cose da dire e da proporre con l’atteggiamento da amministratore delegato di un’azienda. E’ giunto anche il tempo di definire l’incompatibilità per più incarichi e tra incarichi di natura diversa perché chi assume un ruolo istituzionale – nei Comuni, in Provincia o in Regione – non abbia a esercitare, già solo per questo, un ruolo di direzione monocratica nel partito.

Lo Statuto di Sinistra Ecologia Libertà assicura informazione e trasparenza anche attraverso la partecipazione diretta e la sperimentazione di nuove forme di democrazia digitale. Un riconoscimento chiaro e non equivoco dell’esigenza di ammodernare i riti della pratica politica, fondata tradizionalmente ed esclusivamente sulle assemblee di rappresentanti e di delegati o sulle riunioni al chiuso di dirigenti.

La recente campagna referendaria ha, infatti, dimostrato che i mezzi classici dell’informazione, la televisione e i giornali, spesso gestiti con metodi oligarchici, non sono più i soli strumenti per orientare e formare la pubblica opinione. Alla mobilitazione sulle piazze d’Italia si è affiancata, nelle sue multiformi manifestazioni, quella sul web che ha dato pieno diritto di accesso a persone di norma escluse dal gioco della politica e dei partiti.

Sinistra Ecologia Libertà deve aprire le proprie porte a militanti e simpatizzanti, alle loro idee e alle loro proposte, offrendo sul web uno spazio pubblico di dibattito e di confronto, affinché anche per questa via si costruiscano proposte e progetti sui temi dell’attualità locale e nazionale.

Sinistra Ecologia Libertà non ha nulla della sua vita interna da sottrarre alla completa conoscenza della pubblica opinione: né il dibattito interno da svolgersi anche con le modalità offerte dalle moderne tecnologie; né le fonti di finanziamento o l’uso di queste risorse, che devono essere resi noti con regolare periodicità; né i dati sul tesseramento che devono essere consultabili tramite un data base a disposizione di tutte le iscritte e di tutti gli iscritti.

Anche da Torino dobbiamo raccogliere la sfida dell’innovazione perché crediamo che all’Italia e agli italiani serva una sinistra moderna e innovatrice, radicata in un partito, per avviare quelle trasformazioni nei contenuti e nelle pratiche che rendono credibile un progetto di governo alternativo del Paese.

Ripartire da Torino, rifare l’Italia.

Spazio pubblico europeo e città: sono questi gli assi del progetto politico che dovremmo perseguire. Di fronte alla crisi del neoliberismo globale e al nuovo assetto multipolare dei rapporti di forza tra aree geografiche del pianeta diventa indispensabile rimettere al centro il ruolo dell’Europa. Un’Europa politica e federale che abbandoni la stagione dei direttori volti esclusivamente a gestire le crisi internazionali e le emergenze economiche.

In questo senso è davvero molto importante l’iniziativa di Change for Europe che vede Nichi Vendola, Pier Luigi Bersani, Martin Schulz, Jacques Delors, Daniel Cohn-Bendit, Martine Aubry e tanti altri, riuniti intorno ad una comune piattaforma rosso-verde. Una piattaforma fondata, in particolare, su una politica fiscale europea comune: più tasse sui redditi da capitale e meno su quelli da lavoro; progressività nell’imposizione che non danneggi i redditi medio-bassi; avvio di una fiscalità ecologica e messa a punto di tasse sulle transazioni finanziarie. E’ prevista anche un’apertura importante nei confronti degli Eurobond (nella versione “project bond”): non tanto obbligazioni a sostegno del debito quanto strumento per garantire il benessere, la cura e la realizzazione di una società sostenibile.

In Italia si dice spesso che lo Stato ha bisogno di soldi e quindi deve chiederli ai suoi cittadini, ma per la stragrande maggioranza della popolazione i redditi sono crollati, soprattutto negli ultimi dieci anni.

Al tempo stesso si dimentica che l’Italia è uno dei Paesi più ricchi del mondo in termini di patrimonio: case, conti in banca, titoli finanziari, barche e altre forme di accumulazione della ricchezza. Un “benessere patrimoniale” distribuito in modo scandalosamente iniquo: un decimo della popolazione ne detiene la metà. Sulla parte di ricchezza che resta concentrata in poche mani bisogna agire se si vuole invertire la rotta, rilanciare l’economia e dotarsi degli strumenti necessari per la lotta alle diseguaglianze sociali.

La nostra risposta alla crisi deve, innanzi tutto, tradursi nella  costante lotta all’evasione, potenziata  dalla piena tracciabilità dei pagamenti, e nella scelta di un’imposizione fiscale sui capitali che riesca a  colpirli prima del  trasferimento  nei “paradisi fiscali”. Combattendo così anche una battaglia contro la criminalità organizzata e il riciclaggio di denaro sporco.

Nei confronti delle mafie, anche in Piemonte, dobbiamo alzare il livello di guardia come da anni ci chiedono Libera e Avviso Pubblico. Non possiamo delegare al doveroso lavoro della magistratura il compito di sorvegliare e monitorare la selezione della classe dirigente e il controllo degli appalti pubblici.

Occorre stabilire un’imposta patrimoniale sulla ricchezza immobiliare, portare la tassazione delle rendite finanziarie al 23%, introdurre una tassa del 15% sui capitali scudati, intervenire sulla tassa di successione, esigere il pagamento dell’ICI e dell’IRES dalla Chiesa cattolica, sanzionare fiscalmente le grandi emissioni di CO2.

Il terreno della ripresa coniugata con la sostenibilità ambientale e sociale passa per il sostegno alla green economy, alla mobilità sostenibile, alle piccole opere; alla cura del paesaggio e dei beni culturali e alla messa in sicurezza del territorio; alla scuola pubblica, all’innovazione e alla ricerca; alla razionalizzazione ed al potenziamento della sanità pubblica e in generale del welfare.

In questo senso è ineluttabile una riflessione sul modello di sviluppo da seguire e sul grande dibattito che si è sviluppato intorno al tema infrastrutture. In particolare per il progetto della TAV tra Torino e Lione, occorre prendere atto che alle iniziali preoccupazioni in materia d’impatto ambientale e di rischi per la salute, a cui il nuovo progetto ha cercato, almeno in parte, di rispondere, si sono sostituite in seno al movimento NoTAV motivazioni negative di carattere più generale. Sono ora messi in discussione il senso dell’infrastruttura e l’esistenza di una reale necessità di investire sulle reti di trasporto, giungendo a criticare apertamente il concetto stesso di sviluppo.

Noi pensiamo che la sinistra debba uscire dal dibattito sterile tra crescita a ogni costo e decrescita, proponendo la riconversione ecologica dell’economia e un percorso di sviluppo che coniughi il rispetto dell’ambiente con il benessere sociale e dunque con le attività produttive senza le quali non c’è prosperità. Per questo abbiamo subito sostenuto la proposta metodologica dei sindaci della comunità della bassa Val Susa e della Val Cenischia denominata F.A.R.E..

Il F.A.R.E., quanto mai attuale, si poneva nell’ottica di rimuovere le criticità individuate nel progetto a partire dal nodo di Torino, che è la vera strozzatura della linea, rimandando altre fasi (linea di Valle e tunnel di base) alla verifica di quelle precedenti.

La volontà di cantierizzare il tunnel di Chiomonte e la tratta internazionale calpesta totalmente le indicazioni prioritarie dell’Osservatorio e del F.A.R.E..

Ancora più inconcepibile è il peggioramento delle condizioni del trasporto pubblico locale sull’attuale linea Torino-Modane che umilia i pendolari con un servizio scadente e per nulla rispettoso dei cittadini. Riesce difficile parlare di nuova linea quando l’attuale servizio è così deficitario.

Noi siamo per il trasporto su ferro di persone e merci ma in un quadro di politiche trasportistiche che privilegiano il trasporto ferroviario nell’interesse di tutti.

Sostenibilità vuol dire anche ridurre la quantità di rifiuti che la nostra società produce: il tema non può essere solo la pur necessaria ricerca delle migliori tecniche di raccolta e trattamento, bensì l’attuazione di strategie di riuso e prima ancora di drastica riduzione di ciò che inevitabilmente diventa rifiuto. Solo così potremo liberarci progressivamente dalla necessità di impianti come gli inceneritori, riuscendo in una prima fase a rendere esaustivo per tutta la Provincia quello costruito a Torino sud.

Un diverso governo dell’economia e della cosa pubblica è possibile aggredendo gli sprechi e adattando i diversi livelli amministrativi alla realtà d’oggi.

L’obiettivo della crescita e della coesione sociale passa per un riconoscimento della funzione delle Regioni e delle Autonomie Locali , perché è il territorio che produce welfare, sviluppo e investimenti. Allo stesso tempo è proprio la duplicazione degli enti che frena tali funzioni: il riordino, la riorganizzazione e l’abolizione di molti enti inutili può, perciò, rappresentare un segnale di riduzione dei costi della politica e di maggiore efficienza amministrativa.

Purtroppo, come già stato detto, la recente manovra economica del governo ha messo in ginocchio il sistema delle autonomie locali e il taglio di 9 miliardi si scaricherà sui cittadini con la cancellazione di servizi essenziali, tagli alle politiche ambientali, aumento della tassazione locale. E, al tempo stesso, si aumentano le spese militari senza discutere l’opportunità delle missioni, come quella in Afghanistan, e dei loro costi. Dovremmo, quindi, caratterizzare la nostra proposta e iniziare a sostenere anche a livello locale la petizione popolare nazionale “taglio alle spese militari + servizi ai cittadini”.

Non può sfuggirci che a un maggiore ruolo attribuito alle Regioni dovrebbe corrispondere un’adeguata capacità di governo, mentre in Piemonte la giunta Cota, sospesa tra gli scandali e l’attesa della definizione giudiziaria di un’elezione viziata da gravissime irregolarità, si limita a tagliare la sanità, minare il diritto allo studio e mettere a repentaglio i risultati raggiunti in cinque anni di centrosinistra.

Al centro della rinascita italiana devono essere i Comuni, che non sono solo un centro di entrate e di spese e neanche un mero presidio della democrazia: sono la storia, l’identità, il linguaggio e la coscienza di luogo che hanno fatto grande questo Paese e l’intera Europa. Anche per questo vanno tutelati. E’ opportuno che si intervenga con una riduzione rilevante del numero e degli stipendi di parlamentari, ministri e consiglieri regionali. Non si deve, invece, colpire l’anello più debole della catena, rappresentato dal Sindaco e dal piccolo Consiglio che presidiano con fatica e pochi mezzi la nostra millenaria civiltà comunale.

Per quanto possa apparire una tecnicalità, occorre lanciare una forte campagna per la fuoriuscita dei comuni da alcuni vincoli del patto di stabilità. Le deroghe sarebbero opportune almeno per i comuni virtuosi e per le spese relative alla mobilità sostenibile, l’inclusione sociale, le piccole e buone opere e soprattutto per le spese sostenute dai comuni in sostituzione dello Stato (come nel caso delle scuole dell’infanzia per il Comune di Torino).

Dovremo partire dal comune di Torino e dai tanti Comuni di questa provincia per qualificare e stabilizzare il lavoro pubblico e i servizi pubblici locali. Non in una logica di privatizzazione e smantellamento, come sembra indicare Confindustria, ma di riorganizzazione e concentrazione. Il vero tema è come trasformare le ex municipalizzate in aziende legate a un singolo territorio, con una mission specifica e con un effettivo controllo e partecipazione dei cittadini per favorire il conseguimento degli specifici obiettivi statutari. Un obiettivo da conseguire mediante l’impegno degli amministratori locali di SEL che, tra l’altro, devono sollecitamente presentare in tutti i Comuni le proposte conseguenti alla piena applicazione dei referendum sull’acqua.

La gestione dei servizi pubblici è uno dei grandi temi che Torino deve affrontare in questa fase non semplice di vita della città. La riduzione delle entrate e dei trasferimenti e il necessario rientro dal debito rendono difficile immaginare  un ritorno alla disponibilità di risorse che ha caratterizzato il periodo precedente il 2006. Il ruolo del Comune va radicalmente ripensato, abbandonando ogni velleità municipalista che vorrebbe lo sviluppo trainato dalle politiche pubbliche e da forti interventi in materia di infrastrutture, lavori pubblici ed edilizia. L’interventismo senza soldi rischia di essere debole di fronte agli investimenti privati e dunque incapace di indirizzare e guidare lo sviluppo della città.

Per Torino, in particolare devono essere definiti alcuni assi strategici su cui puntare: sviluppo del sistema universitario, creatività e produzione culturale, riconversione ambientale delle attività produttive, innovazione tecnologica, mobilità e logistica sostenibili, welfare di cittadinanza e non solo familiare.

Allo stesso tempo occorre che il governo della Città assuma un ruolo più politico e meno amministrativo, dando regole e limiti, definendo priorità, guidando anche l’attività privata verso fini di pubblica utilità. L’esigenza di reperire risorse non può condurre a delegare la definizione delle scelte strategiche per il futuro delle nostre città a chi detiene i maggiori capitali.

Occorre invertire la tendenza subalpina alla subalternità culturale al management aziendale. Il caso della Fiat ne è l’esempio più concreto. Nel 2005 la Provincia e la città di Torino, insieme alla Regione, hanno investito più di 60 milioni di euro sull’area di Mirafiori per fondare Torino Nuova Economia. Se pensiamo che sia ancora possibile costruire una nuova cittadella della mobilità sostenibile, dobbiamo impedire ricatti e stigmatizzare gli sfoghi pubblici e i ricorsi amministrativi di chi continua a rimandare gli investimenti determinando un ulteriore proroga nell’utilizzo di ammortizzatori sociali.

Gli enti locali devono pretendere un ruolo diverso del Governo e devono entrare nel merito dei piani strategici; per questo invitiamo a una riflessione sull’opportunità che i confronti riguardanti gli investimenti e le localizzazioni, i relativi progetti industriali, la ricerca, siano condotti a un tavolo triangolare “ azienda – sindacati- istituzioni pubbliche ”.

A Torino serve un’ amministrazione comunale che, preso atto della propria difficoltà di garantire la crescita e l’incremento dei posti di lavoro, si occupi di garantire i diritti sociali nella loro più ampia accezione e si metta al servizio di un nuovo sviluppo quale ad esempio quello ipotizzato nel progetto Smart City.

È una sfida che unisce pensiero europeo e azione locale, una sfida che Sinistra Ecologia e Libertà deve raccogliere per incidere nell’azione di governo. Una sfida che porti il nostro partito a essere protagonista autorevole del cambiamento, necessario per costruire una società più giusta e più civile, in cui la speranza e l’impegno prendano il posto dell’indifferenza e della rassegnazione.

Acciarini Maria Chiara
De Ruggiero Nicola
Destro Raffaele
Ferrentino Antonio
Grimaldi Marco
Ippolito Pino
Serafino Adriano
Berghelli Michele
Buffa Elena
Carpinelli Antonietta
Casciola Marco
Del Vento Nunzia
Disegni Manuel
Lapolla Massimo
Re Alberto
Addari Laura
Addari Giuseppe
Aiello Samantha
Ajetti Dante
Alessio Laura
Anania Salvatore
Antoni Irene
Artuffo David
Atzeni Aldo
Audero Franca
Balestretti Luisella
Banti Ornella
Baracco Renzo
Barella Marina
Barletta Fabrizio
Barletta Simone
Bartezzaghi Vittorina
Battista Anna Maria
Battista Paola
Bechis Gabriella
Beltrami Massimo
Benchaed Enis
Benfante Francesca
Benvenuti Marco
Benzoni Pierluigi
Berardinelli Luca
Berghelli Emanuele
Bernaudo Enza
Bertolo Pietro
Bettassa Marco
Biondo Giuseppe
Bissa Alessandro
Blandina Michele
Blotto Francesco
Bobbio Chiara
Bollettieri Michele
Bonanno Bruno
Bonasera Alessandro
Borgione Fabrizio
Bortoli Corrado
Bosco Carlo
Bosone Ernesto
Cairo Moreno
Calato Gennaro
Calcagno Piero
Capra Mariano
Capra Victoria
Capra Umberto
Caprioli Mauro
Capuozzoli Ivano
Caristo Carmela
Carotenuto Luca
Caruso Luigi
Casadei Luciano
Casale Giuseppina
Castellani Patrizia
Castrovinci Dario
Catanuto Luisa
Cavaletto Andrea
Cerutti Franca
Cervetto Giuseppe
Chiocchi Giuseppina
Chiocchi Elvira
Cirillo Pasquale
Conedera Alessandro
Conedera Valter
Coniglio Nunzia
Corona Gianni
Costa Massimiliano
Covolan Michele
Cozzolino Pettoruto
Crepaldi Renzo
Crispino Vincenzo
Cutrono Simone
D’Agostini Vinicio
D’Alessandro Antonio
Dalia Giulio
Dalia Giuseppe
De Benedittis Maria Luisa
De Carolis Angelo
De Castro Francesco
De Leo Vincenzo
De Robertis Paul
Del Ros Rossano
Delli Santi Luca
Di Girolamo Fabio
Dumitriu Stefan
Dumitriu Mugur
Enie Viorica
Erriu Sandra
Falsone Giovanni
Falsone Elisa
Fedele Felice
Filippone Teresa
Fiorio Plà Alessandra
Foresta Anastasia
Forneris Lorenzo
Forte Antonio
Franco Irene
Fubini Lia
Furfaro Giuseppe
Furnari Francesco
Furnaro Dario
Gagliotti Nicola
Gallo Antonio
Gallo Luciano
Garrou Erica
Gasparini Claudia
Gastaldo Davide
Giacobini Paolo
Giacomelli Glauco
Giannetti Debora
Giglio Giacomo
Giordano Massimiliano
Giorgi Fulvio
Giuliani Gabriele
Gnani marco
Gomba Davide
Grieco Marco
Grimaldi Giulia
Gritti Franco
Gritti Valeria
Grosso Pierantonio
Gruppi Alessandro
Guareschi Erica
Guarnieri Norina
Gurrado Michele
Ierardi Santo
Ippolito Valeria
Ippolito Lorenza
Isabello Paola
La Camera Pietro
La Iacona Riccardo
La Torre Caterina
Landra Pietro
Langella Gennaro
LaSpina Gabriele
Laurenti Aurora
Lazzazzara Vito
Leodi Mario
Leonardi Emilia
Leonetti Annamaria
Leotta Cristina
Lombino Iolanda
Lonardelli Giuseppe
Lonardelli Francesca
Longo Ezio
Longo Alfonso
Longo Alessandro
LoPrevite Giulio
Lucarelli Annarita
Magliano Alberto
Malvè Elisa
Malvè Antonino
Malvè Paolo
Malvè Alessandra
Mancino Nicola
Marafioti Domenico
Marafioti Manuele
Marando Daniela
Marano Loredana
Marciano Giuseppe
Marciano Marco
Marino Gaetano
Maroni Oscar
Marra Franco
Marucci Mario
Marucci Mario
Massocco Adriana
Massocco Lorenzo
Matteoni Giulia
Mazzetti Laura
Mazzilli Micaela
Melfi Tiziana
Menchise Valeria
Mezzapesa Pietro
Miccichè Giuliano
Milito Maria
Moi Marco
Monzon del Castillo Rosa Lucia
Moresco Emanuele
Moretti Renato
Morisco Roberto
Murgiano Giancarlo
Murgiano Chiara
Napoli Giuseppina
Nardella Fernando
Nigra Patrizia
Notario Sergio
Novelli Laura
Novello Paolo
Novello Marco
Novello Luciano
Olivero Pier Luigi
Oliviero Felice
Orlando Salvatore
Orru’ Dino
Oteri Nicoletta
Palmieri Giovanna
Panizzi Mario
Paone Giovanni
Paone Michele
Paone Maurizia
Paone Denis
Parisi Marilena
Paschetto Simone
Pasin Massimo
Pasquale Francesco
Passarella Lidia
Pegna Carmen
Pegna Giovanni
Pellegrino Francesco
Pellegrino Michael
Peragine Angela
Perozzo Antonello
Perrone Rossella
Piantino Marinella
Piola Claudia
Pipino Giovanni
Pirisi Antonio
Piscopo Simona
Pizzo Fabio
Poretti Renato
Pozzi Andrea
Quiriconi Fabrizio
Radin Umberto
Rastrelli Giovanni
Re Andrea
Reina Giovanni
Renda Giuseppe
Ricciuti Margherita
Rivera Marisa
Robioglio Enrica
Rocco Franco
Roggero Francesco
Rolle Alessandro
Rondoni Maria
Rosa Elisabetta
Rosaclot Giancarlo
Rossi Alessandra
Rossi Alessandro
Rotella Eleonora Rita
Saia Daniela
Sangiorgio Grazia
Sanmartino Maria antonietta
Sanna Camillo
Santagati Serena
Santomauro Michele
Santomauro Salvatore
Saraco Vittorio
Sarcone Cinzia
Scacciati Francesco
Scaffidi Muta Cirino
Schiffo Francesco
Sciacca Paolo
Scoffone Piergiorgio
Siracusa Eleonora
Slobodeniuc Tatiana
Sominelli Mario
Sosso Angelo
Spadaro Virginia
Sportiello Alessandro
Stanco Maura
Strafezza tommaso
Stroppiana Vilma Maria
Suppo Augusto
Tamburini Enrico
Tamburini Francesco
Tarantino Rossella
Testa Paolo
Tomasello Erica
Tosi Giancarlo
Ughetto Silvia
Uranio Antonio
Urbinati Maurizio
Vaccari Maria Consolata
Verduci Silvia
Vetrugno Antonio
Viscardi Giacomo
Vitelli Antonella
Zagato Vally
Zampieri Raffaele
Zampieron Sara
Zannoni Rino
Zullo Marisa
Zunino Sergio
Zunino Cristian
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